Dopo Stati Uniti e Canada anche la Cina ha venduto il suo primo: siamo ancora nella preistoria dello sviluppo, ma i computer quantistici sono oggi nel mercato e rappresentano una svolta nella computazione moderna.
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Fra satelliti visibili ad occhio nudo e intelligenze artificiali sempre più realistiche, la tecnologia sembra raggiungere livelli inimmaginabili. Anche senza avere ancora la possibilità di guidare un auto volante. Fra tutte queste novità una passa in sordina, nonostante il suo sviluppo voglia dire ridimensionare il conosciuto e aprire orizzonti ancora più vasti. Un esempio è la foto che abbiamo scelto come copertina di questo articolo: il Q System One Quantum Computer della IBM mostrato al CES 2020. Già da più di qualche anno in produzione, i computer quantistici segnano una svolta nella computazione moderna: approfondiamo insieme come funzionano e a cosa servono.
Qubit e transistor
Partiamo dalle basi: a differenza di un calcolatore classico, basato sui transistor, il calcolatore quantistico opera con bit quantistici. Ma cosa sono i transistor e i qubit?
I transistor sono dei dispositivi o componenti che sfruttano le proprietà elettroniche dei materiali semiconduttori come il silicio, largamente usati nell’elettronica analogica perchè operano su dati binari (codificati come bit – 0 o 1). Possono essere inseriti insieme a un gran numero – spesso milioni – di dispositivi simili su un singolo chip, chiamato circuito integrato.
Il qubit – contrazione di quantum bit – è il termine coniato da Benjamin Schumacher per indicare il bit quantistico ovvero l’unità di informazione quantistica. Il fisico scoprì come interpretare gli stati quantistici come informazioni ideando un modo per comprimerle in uno stato e immagazzinarle in un numero minore di stati.
Perchè i computer quantistici sono più veloci?
La risposta è nella definizione stessa di qubit: un singolo valore quantistico corrisponde simultaneamente a più valori classici.
Pensare che i computer quantistici saranno in grado di manipolare con efficienza milioni di qubit – oggi siamo nell’ordine delle centinaia – fa capire il livello di astrazione a cui andiamo incontro. La questione si può porre in modo meno tecnico dicendo che con un computer quantistico si può risolvere un calcolo che un computer tradizionale non riuscirebbe a fare, o quantomeno non in un tempo ragionevole.
Nel 2019 Sycamore, il computer quantistico di Google, è riuscito a generare uno stato fisico quantistico “a caso” in pochi secondi; Summit, uno dei supercomputer (tradizionali) più potenti al mondo, impiegherebbe circa 10mila anni per risolvere lo stesso problema.
A cosa servono i computer quantistici?
Comunemente abbiamo sentito dire che dei computer quantistici che sono “più veloci” rispetto a quelli tradizionali. Non è così. Il paradigma con cui lavorano i computer quantistici è totalmente diverso rispetto a quello con cui lavorano i computer classici: è troppo semplicistico fare dei paragoni in termini di velocità ed efficienza. L’analogia più sensata è con un telescopio: il computer quantistico dovrebbe essere considerato come uno strumento che permette di guardare più lontano.
L’idea è che i computer quantistici, proprio come i microscopi o i telescopi permettano – o meglio permetteranno – di arrivare dove i computer tradizionali non riescono. Stiamo parlando del concetto di supremazia quantistica, citato per la prima volta da John Preskill, fisico del Caltech in un articolo del 2012: “La scienza dell’informazione quantistica studia la frontiera di stati quantistici molto complessi, la cosiddetta ‘frontiera dell’entanglement”.
Lo sapevi che: entanglement è il fenomeno per cui le entità quantistiche vengono create e manipolate in modo tale che nessuna di esse possa essere descritta senza fare riferimento alle altre. Le identità individuali si perdono. Il modo in cui i computer quantistici sfruttano le probabilità e l’entanglement è ciò che li rende diversi dai computer classici.
Il computer quantistico potrà essere usato come strumento di ricerca, per dare un apporto molto significativo anche nel campo della progettazione di nuovi farmaci, nel design dei materiali, nella progettazione di batterie più efficienti. Nonchè, ovviamente, nel machine learning e l’intelligenza artificiale. Tra l’altro, la supremazia quantistica non è neanche l’obiettivo finale. Il passo ulteriore è il raggiungimento del cosiddetto vantaggio quantistico, ossia l’effettiva progettazione di algoritmi da far svolgere ai computer quantistici del futuro. È come se in questo momento stessimo per dimostrare che è possibile costruire una macchina velocissima, ma ci mancassero ancora strade, distributori di benzina..
Quanto costa un quantum computer?
SpinQ Technology, società specializzata in tecnologia quantistica, ha rilasciato in Giappone i primi computer quantistici a 2–qubit portatili al mondo. Tre modelli: Gemini Mini, Gemini e Triangulum. Il Gemini Mini, il più economico dei tre computer presentati, è un sistema a 2 qubit equipaggiato con un touchscreen, che pesa circa 14 kg. Il prezzo parte da circa 8500 euro per il modello di base.
Secondo alcune stime, mantenere in funzione un computer quantistico “analogico” con un milione di qubit richiederebbe, al momento, una potenza di circa 13 megawatt, ossia circa 700 milioni di dollari. L’informatica quantistica è molto costosa: un singolo qubit potrebbe costare fino a 10.000 dollari.
I computer quantistici nel mondo
Stando alle stime di Statista la nazione più all’avanguardia dal punto di vista dei computer quantistici in termini di numero di brevetti sono gli Stati Uniti con un totale di 1344 brevetti (37%). Nonostante ciò, molti altri paesi credono in questo nuovo paradigma e stanno investendo molte risorse, tra cui la Cina (20%), il Giappone (12%), l’Europa (10%) e la Corea (4%).
Anche l’Italia, finalmente, ha il suo computer quantistico. Si chiama Seeqc System Red, sviluppato da Seeqc, azienda statunitense con sedi a New York, Londra e Napoli, con il supporto dell’Università Federico II di Napoli. Il dispositivo si trova, per l’appunto, a Napoli, ed è il primo computer quantistico italiano full-stack, ossia dotato di tutti i componenti che gli permettono di far girare algoritmi e applicazioni – hardware, software, firmware e portale cloud.