Il panorama dei social media sta per subire un cambiamento significativo grazie all’introduzione di una legge pionieristica.
Questa norma, che entrerà in vigore nel 2025, rappresenta un passo storico nella regolamentazione dell’uso dei social media, un tema di crescente preoccupazione a livello globale.
La legge, approvata dal Parlamento, obbligherà piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e X (ex Twitter) a vietare l’accesso agli utenti di età inferiore ai 16 anni. Le sanzioni per le aziende che non rispetteranno questa normativa potranno arrivare fino a 49,5 milioni di dollari australiani, equivalenti a circa 32 milioni di euro. Inoltre, per garantire l’efficacia della legge, è previsto un test che inizierà nel gennaio 2025. Tuttavia, YouTube è escluso da questa normativa, considerato un mezzo essenziale per l’educazione scolastica.
Motivazioni dietro la legge
L’adozione di questa legge è stata spinta da preoccupazioni sempre più crescenti riguardo all’impatto negativo dei social media sulla salute mentale dei giovani. Questo tema è stato già oggetto di dibattito in altri Paesi, come Francia e Stati Uniti, dove sono state introdotte diverse regolamentazioni. L’Australia si distingue come il primo Paese a stabilire un divieto categorico per gli under 16, suscitando un acceso dibattito tra favorevoli e contrari.
Il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha accolto con favore l’approvazione della legge, che rappresenta una vittoria politica in vista delle elezioni del 2025. I sondaggi indicano che il 77% degli australiani sostiene il divieto, una posizione avvalorata dalla campagna mediatica nazionale “Let Them Be Kids”, che mira a proteggere i minori dagli effetti nocivi dei social media. Tuttavia, non mancano le critiche e le preoccupazioni espresse da diversi gruppi per i diritti dei bambini, accademici e attivisti per la privacy. Essi avvertono che il divieto potrebbe isolare i giovani più vulnerabili, come gli adolescenti LGBTQ+ e i migranti, che trovano nei social media una rete di supporto e connessione.
Inoltre, l’Australian Human Rights Commission ha sollevato dubbi sulla legittimità della legge, sostenendo che essa potrebbe limitare i diritti dei giovani e la loro partecipazione nella società. Le critiche non provengono solo dai gruppi per i diritti, ma anche dalle aziende tecnologiche stesse. Sunita Bose, direttrice del Digital Industry Group, ha dichiarato che, sebbene la legge sia stata approvata, mancano linee guida chiare su come applicarla, creando confusione e incertezze per le piattaforme coinvolte.
Il contesto in cui questa legge è stata introdotta è caratterizzato da tensioni già esistenti tra l’Australia e i giganti della tecnologia, che in passato sono stati obbligati a pagare i media locali per i contenuti condivisi sulle loro piattaforme. Il nuovo divieto potrebbe avere ripercussioni anche sui rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, dove Elon Musk, proprietario di X, ha criticato la misura definendola “un modo per controllare l’accesso a Internet in Australia”.
Ma al di là delle critiche, la legge riflette una crescente volontà a livello globale di affrontare le problematiche legate all’uso dei social media tra i giovani. Molti esperti di salute mentale e pedagogia hanno sottolineato l’importanza di creare spazi sicuri per i ragazzi, in cui possano crescere e socializzare senza essere esposti ai pericoli dei social media. La crescente evidenza scientifica che collega l’uso eccessivo dei social media a problemi come ansia, depressione e isolamento sociale ha spinto governi e organizzazioni a riconsiderare l’approccio attuale.
Resta da vedere come questa legge verrà implementata e se altri Paesi decideranno di seguire l’esempio australiano. La questione della sicurezza online per i minori è diventata una priorità per molte nazioni, e l’Australia potrebbe diventare un modello da seguire o un esempio di ciò che non funziona. La sfida sarà trovare un equilibrio tra la protezione dei minori e la libertà di espressione, un tema complesso che richiede un dialogo aperto e costruttivo tra governi, aziende e società civile.