Dopo l’ultimo aggiornamento, Twitter non conta più i nomi nei famosi 140 caratteri, ma basta per riuscire a far crescere la base degli utenti e raggiungere un modello di business che funzioni?
Non ho la bacchetta magica, né la presunzione di saperne più di quelli che governano la piattaforma di micro-blogging, ma ho qualche sana perplessità.
Ne abbiamo parlato più volte: Twitter è una sorta di piccolo circolo chiuso elitario. Conta perché lo usano le persone che contano, con una sorta di meccanismo di mutuo soccorso degli utenti, per cui la popolarità della piattaforma è altissima tra coloro che ne sono coinvolti, è pari a zero presso chi invece non è iscritto.
E c’è un piccolo problema: gli iscritti sono circa 300 milioni, una cifra esigua rispetto al miliardo e mezzo (quasi) di Facebook, il miliardo di WhatsApp e i 600 milioni di Instagram, che continua a crescere, a differenza di Twitter che in un intero anno, il 2016, è. cresciuta solo di 15 milioni di utenti, ma rimanendo sempre inchiodata intorno al numero dei 300 milioni, che sembra essere un limiti fisiologico insuperabile.
Tra le varie strategie messe in pista per attirare più utenti, nei mesi scorsi è stata annunciata quella dell’allungamento dei contenuti, allentando la rigidità intorno al limite di 140 caratteri per ogni singola pubblicazione.
Il primo passo è stato quello di non conteggiare più le foto, è stato promesso di non calcolare più i link (ancora non è stato fatto), da ieri invece sono stati tolti dal controllo del testo i nomi menzionati, cioè quelli messi dopo la “@”.
Come si traduce questo nell’uso della app? Quando cliccate su “rispondi” i nomi coinvolti nella conversazione andranno in uno spazio a parte e il testo sarà libero da mille nomini con una chiocciola davanti.
Pare che questa novità abbia riscontrato il favore di molti e che durante le prove a cui queste novità sono sempre sottoposte, gli utenti hanno mostrato molto più “engagement” e le conversazioni sono state seguite più a lungo.
Per voi fa una differenza questo dettaglio?