Ormai sono passati due giorni dall’addio a Google+ e il mondo sembra continui a girare senza soffrire particolarmente della perdita.
Potrei cazzeggiare per ore con battute sul social network che era più network che social, nel senso che in società erano davvero pochi ad usarlo, ma un paio di giorni dopo la chiusura preferisco provare a ripercorrere la storia di un servizio che non ha mai decollato alla ricerca dei perché.
Giusto il giorno prima dell’addio a Google+ abbiamo celebrato i 15 anni di Gmail, il servizio che ha rivoluzionato l’email e l’ha resa uno strumento veramente di massa, complice il fatto che serve un account Gmail per fare qualunque cosa nel mondo di Android, ma non solo.
Ne abbiamo scritto giusto qualche giorno fa: Gmai ha fatto breccia con alcune opzioni uniche, tra cui il Giga a disposizione dei suoi utenti, quale era invece l’unicità di Google+ rispetto a Facebook prima ed instagram poi?
L’unico vero vantaggio risiedeva nella quantità di clienti già agganciata a Google a cui l’azienda poteva rivolgersi nel tentativo di esercitare una qualche leva che li coinvolgesse nella piattaforma social.
Non è bastato. Perché gli utenti hanno un “pensiero primario” legato ad un servizio e cambiarlo è difficilissimo: Facebook è un social network, non la home page di un telefonino o uno smartphone e da qui il fallimento dei tentativi fatti nel tempo da Mark Zuckerberg.
Instagram è una carrellata di foto, ecco perché Instagram Tv è un club ristretto che interessa una percentuale minima degli utenti.
Google è Gmail e Google Maps, è una somma di servizi che semplificano la vita, non è un posto dove condividere cose (per i più).
Una volta che l’utente ti ha inserito in una casella, spostare la percezione costruita è al limite dell’impossibile.
Ecco perché certe sfide oggi non sono mai scontate: si fa presto a dire che Apple diventerà una società di servizi. Ma gli utenti riusciranno a percepirla così anziché l’azienda che fa gli iPhone e gli iPad?
Addio Google+. Un’altra volta.
Torniamo a Google: Google+ è stato il secondo buco clamoroso che ha seguito da vicino Google Wave, altro strumento, il cui uso è rimasto un mistero per molti.
“La risposta a Facebook”. Chiuso nel giro di qualche anno.
E vogliamo parlare di messaggistica? Quante piattaforme ha preparato Google nel tentativo di contrastare Whatsapp? Hangouts, Duo, Allo, probabilmente anche qualche altra soluzione che dimentico.
Pur con miliardi di smartphone nel mondo con un sistema operativo creato da Google, non c’è stato modo di smuovere le acque e di creare na vera alternativa allo strapotere di Whatsapp.
Verosimilmente, se Whatsapp provasse a fare altro, sarebbe un disastro.
Vogliamo spostarci su altre aree? Sony è TV, pur con il grande successo del brand nel mondo OLED, gli smartphone non sono mai partiti. I decenni di storia del brand sembrano non contare niente quando si parla di telefoni.
A ben guardare, è un miracolo quello che l’azienda giapponese ha fatto nelle fotocamere full frame.
Il più grande problema delle aziende è la casella in cui finiscono con la prima percezione degli utenti. Perché se entrare nella testa degli utenti è difficile, muoversi al suo interno pare un’operazione quasi impossibile.
Addio Google+. Un giorno capirò come avrei dovuto usarti.
In realtà la gente cambia e anche rapidamente, ricordiamoci che prima di Facebook tutti usavano Msn o Live Space per citarne due, poi tanti saluti e tutti su Facebook. I motivi sono descritti in molti libri di psicologia, voglia di cambiare ma anche soddisfazione di un bisogno. Facebook nel bene o nel male soddisfa parecchi bisogni sociali delle persone che nulla hanno a che fare con le interazioni con il prossimo. È una vetrina per esibizionisti, chi esibisce bellezza, chi auto, chi case ecc…al pari di Instagram. G+ non lo faceva, serviva più a comunicare e alle persone in realtà questo non interessa.