Cashback e Apple Pay o app di pagamento: un epic fail

Affrontare il tema di cashback e Apple Pay o altri applicativi di pagamento è una sorta di forma di masochismo, perché da forte sostenitore di questa iniziativa dello Stato devo riconoscere un epic fail quando si parla di gestione della app IO.

Abbiamo scritto più volte di quanto è successo quando il servizio è stato avviato: non mi ha meravigliato più di tanto il fatto che nei primi giorni ci fossero alcuni disservizi, perché con il numero elevato di accessi e con la capacità che non abbiamo di affrontare grandi flussi, quando ci sono servizi di Stato, era tutto prevedibile.

Chi come me si occupa di tecnologia e conosce bene i flussi di determinate piattaforme, sa che Salvatore Aranzulla probabilmente ogni giorno supporta sui suoi server un traffico più elevato di quello dei primi giorni dell’applicazione per il cash back, ma ormai abbiamo fatto la pace con l’endemica impossibilità di lanciare per una volta un servizio pubblico che funzioni fino in fondo.

Ho citato il sito Aranzulla, solo perché non volevo andare sui soliti nomi, ma Google, Amazon, Microsoft, sono tutte realtà con strumenti in cloud in grado di gestire il traffico di milioni di utenti contemporaneamente ogni giorno senza alcun tipo di problema.

In condizioni normali, il sito Internet di una delle qualunque principali compagnie aeree nel mondo supporta livelli di traffico di gran lunga superiori a quelli del famigerato 8 dicembre, ma farsi troppe domande a volte spinge in vicoli ciechi da cui poi è difficile uscire, quando puoi parliamo della struttura digitale dello Stato l’uscita è ancora più camuffata.

Dopo qualche giorno in cui il sistema ha arrancato, più o meno i servizi hanno cominciato a funzionare, pur se con un’organizzazione piuttosto bizzarra: mia moglie ed io, che abbiamo la stessa banca, con lo stesso sportello di riferimento, abbiamo trovato le nostre carte bancomat sotto due nomi diversi dell’istituto.

Tra l’altro, nel mio caso, quella che per tutti si chiama UBI elencata come unione delle banche italiane, che è di sicuro il nome ufficiale della banca, ma che nessuno usa e che probabilmente molti clienti non hanno mai sentito nominare. Forse era troppo complicato nella stringa di ricerca inserire anche UBI.

Insomma, l’avvio del servizio cashback è stato particolarmente complicato. Il mio giudizio complessivo sull’operazione, per quello che vale, è comunque positivo, perché avere una forma di restituzione del denaro, anche se per una cifra contenuta, è sempre meglio che ricevere due dita in un occhio, non ho capito bene coloro che si lamentano per quale ragione lo facciano.

Sono tra l’altro convinto che l’introduzione di questa operazione sia stata una gigantesca manovra per indurre gli italiani, altrimenti pigri, distratti e anche un po’ svogliati, a dotarsi finalmente di SPID e dell‘applicazione IO.

Per chi ancora non lo sapesse, il primo è un codice di identità digitale che viene rilasciato da molti istituti gratuitamente e che permette di accedere a diverse piattaforme pubbliche come quella di Inps, dell’agenzia delle entrate, della propria regione, di molti enti con cui si può dialogare molto più facilmente.

L’applicazione in questione, invece serve per pagare multe, tributi, interloquire con lo Stato, ove ovviamente gli enti preposti si siano agganciati all’applicazione stessa. Inutile dire che moltissimi comuni sono ancora in ritardo e, anziché utilizzare uno strumento comune centralizzato, hanno preferito sperperare il proprio denaro con applicazioni improbabili, che nessuno scarica, che assolvano il tema dei tributi su scala locale.

Cashback e Apple Pay o altre app: è così difficile?

Questa lunghissima premessa ci porta al punto centrale dell’analisi che facciamo oggi: siamo ben oltre la scadenza della prima tranche di rimborsi, quella del mese di dicembre che poteva portare fino a 150 € di cashback, tra poco sarà un mese che il servizio è stato lanciato a livello commerciale, eppure non è ancora possibile aggiungere ai sistemi di pagamento accettati le applicazioni, come Apple Pay, Google pay, Samsung pay, Fitbit pay e via dicendo.

L’unica in grado di aggirare questo problema e satispay, ma perché funziona al contrario, nel senso che direttamente dall’applicazione, sviluppate in Italia e quindi più vicina alle questioni di casa nostra, si può accedere al cashback.

Anzi, dobbiamo riconoscere alla società guidata da Alberto dal basso che attivare il cashback è stato più semplice sull’applicazione satispay che su quelle dello Stato.

Da un mese ormai c’è una laconica voce dove si aggiungono forme di pagamento che prevede l’adesione attraverso le applicazioni, ma cliccando su quella parte del menu c’è una generica indicazione che in futuro si potranno aggiungere anche le applicazioni di pagamento che vi abbiamo appena citato.

Non sono mai polemico a prescindere, accolgo con un certo entusiasmo ogni iniziativa che va nella direzione della crescita digitale del paese, della semplificazione delle procedure, della facilitazione dei pagamenti, ma bisogna ammettere che è disarmante l’incapacità di Stato di gestire qualunque tema che riguardi il digitale.

Non serve ricordare le figuracce di Inps per ogni attività da svolgere online con scadenze come un clic day. Eppure, abbiamo un ministro che dal punto di vista tecnico ha una preparazione impressionante, ministeri che lavorano ogni giorno a braccetto con i grandi Players della tecnologia, perché continuiamo ad inciampare così?

Riusciremo mai a conoscere nomi e cognomi degli autori e responsabili di questi misfatti? Perché, alla fine, essendo pagati con i nostri soldi avremo il diritto di sapere chi dovremmo ringraziare.

L’ opacità su questi temi è probabilmente peggiore dell’inefficienza di cui abbiamo avuto un’ulteriore prova.

Luca Viscardi: Radio Anchor, Blogger, Tech Enthusiast. Ogni weekend su RTL 102.5. In versione podcast con Mister Gadget Daily. Papà di Andrea.
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