E’ difficile capire perché la serie A dice no ad Amazon Prime Video in modo così categorico, stiamo cercando di intuire le ragioni di una posizione incomprensibile.
Una premessa: Amazon Prime Video è il servizio di streaming video di Amazon, è incluso nell’abbonamento di Amazon Prime, attualmente in Italia il costo è di 36 euro l’anno, oppure di 3.00 euro mese.
Diciamo subito che questo prezzo non durerà in eterno, anzi. Negli Stati Uniti costa 99 dollari l’anno, mentre in Inghilterra l’abbonamento è di 79 sterline l’anno; quello, a tendere, negli anni, sarà il cosiddetto “Price point” che ci dobbiamo aspettare anche per l’Italia.
Per quella cifra, Amazon offre un servizio di streaming video tra i migliori oggi disponibili, un servizio di streaming audio in versione ridotta rispetto a Spotify, le consegne gratuite per gli acquisti sulla piattaforma e uno spazio cloud per la conservazione delle proprie foto. Bastano un paio di acquisti on line al mese per ripagarsi della spesa.
E’ importante sapere che in Inghilterra, dove Amazon Prime Video trasmette alcune delle partite del pacchetto chiamato “F”, il prezzo non è aumentato dopo l’introduzione del calcio live.
Al momento, il pacchetto di partite trasmesse da Amazon Prime Video in Inghilterra è contenuto perché sono solo i match durante i giorni festivi infrasettimanali, quelli che gli inglesi chiamano “Bank Holiday” e i turni infrasettimanali, per un totale di 20 partite.
Al numero stabilito per contratto, sono stati aggiunti altri incontri, a seguito della decisione di chiudere gli stadi.
Da quando sono stati acquisiti i diritti per la Premier League, Amazon Prime Video ha siglato un accordo anche per la Champions League, per la diffusione del match del mercoledì, che fino ad oggi abbiamo visto in TV.
Perché la serie A dice no a Prime Video?
La motivazione della scelta è stata spiegata direttamente dall’amministratore delegato della LEGA, che considera uno svantaggio per gli utenti l’arrivo di un nuovo player.
In questo momento storico lavorare con certi operatori è cool, ma questo non deve stravolgere le modalità di fruizione, per cui gli spettatori rischino di doversi abbonare ad una piattaforma in più.
Luigi De Servio
E anche perché la politica di prezzo di Amazon è un progetto che pone al centro più il marketing che il prodotto. Noi lavoreremo per valorizzare il prodotto e si è ritenuto di fare una scelta strategica diversa.
Li avremmo accolti, come tutti, con le giuste attenzioni, ma solo se avessero aderito alle nostre modalità. E quindi ha scelto coerentemente di investire il proprio budget in Champions.
Dazn è un brand sotto gli occhi di tutti, è diventato una piattaforma dominante: si propone di sostituire, come peso e centralità, quello che è stato per tanti anni il ruolo di Sky, che ha le possibilità e le risorse, nella seconda fase, per competere, raggiungere e superare un’offerta alta.
In pratica, il problema della serie A è che Amazon costa troppo poco. Il tema in effetti è sensibile: se oggi un soggetto acquisisce i diritti e li mette in un calderone per cui la percezione è che il prezzo sia basso e poi, magari, tra qualche anno i diritti tornano a chi deve far quadrare i conti e deve imporre prezzi più alti, diventa complicato far digerire agli utenti il cambio di direzione e la lievitazione del costo.
Crediamo sia invece piuttosto curiosa la preoccupazione di un terzo soggetto coinvolto, perché Amazon Prime Video costa in un anno meno di quanto Sky chiede per un mese.
Dal nostro punto di vista, il calcio, ancora una volta, dimostra di vivere in una realtà parallela, con un distacco crescente dalle dinamiche di mercato e con una scarsa sensibilità ai temi dell’innovazione.
Incomprensibile, invece, la “dichiarazione d’amore” nei confronti di Dazn, che oggi rappresenta un’alternativa a Prime Video qualitativamente inferiore e con numeri di diffusione meno rilevanti.
Abbiamo la sensazione che questa partita sia ancora aperta, ma con l’atteggiamento della serie A gli unici che ci perdono sono i tifosi, costretti a seguire dinamiche ormai obsolete e superate dalle loro abitudini quotidiane.
Gli stadi italiani erano già semivuoti prima della pandemia, se non per le partite principali: la distribuzione video delle partite è l’unica versa risorsa che rimane ad una macchina incerottata come la serie A, il timore è che la miopia di chi gestisce possa demolire anche quel valore.
Per i nostri figli, ormai, il Manchester United e il Liverpool valgono il Milan o la Sampdoria, abbiamo la percezione che il calcio rischi di essere travolto dalle nuove dinamiche come la musica fu assalita dall’avvento di internet. Sembrava impossibile, invece è successo.