Addio a RainCube, mini satellite meteo della NASA

È stato ufficializzato in questi giorni l’addio definitivo a RainCube, il mini satellite meteo della NASA, in azione da circa un paio d’anni la cui missione si è conclusa la scorsa vigilia di Natale.

Probabilmente, pochi di noi sapevano che sopra le nostre teste ha circolato per circa due anni e mezzo una piccola scatola delle scarpe, che conteneva un sofisticato satellite meteorologico in grado di raccogliere dati particolarmente accurati sulle condizioni del tempo sulla terra.

Il nome di questo prodotto è RainCube, era stato lanciato nel 2018 dalla stazione spaziale internazionale e inizialmente si pensava che la sua missione potesse durare circa tre mesi.

Il suo compito, o meglio la sua capacità, era quella di cogliere segnali radar dalla pioggia, dal ghiaccio e dalla neve, che venivano utilizzati per misurarle l’intensità e trasmettere a terra informazioni puntuali.

Non solo, perché RainCube era in grado anche di scattare foto di altissima qualità per mostrare agli scienziati quello che capitava all’interno dei temporali e delle manifestazioni meteorologiche estreme in giro per il mondo.

L’ obiettivo di questa missione era dimostrare come un dispositivo con dimensioni minimali potesse essere in grado di produrre informazioni tecniche di valore scientifico, da elaborare sulla terra.

In realtà, le informazioni raccolte da RainCube non erano una novità assoluta, perché da tantissimi anni i satelliti terrestri misurano lo stesso tipo di dati, che vengono poi messi a disposizioni di realtà come 3Bmeteo che le elaborano per realizzare le previsioni.

La vera innovazione rappresentata da questo esperimento stava nella miniaturizzazione della tecnologia: RainCube è infatti 100 volte più piccolo degli strumenti attualmente utilizzati con le stesse finalità.

La missione è durata molto più del previsto e ha permesso nel corso del 2020 di raccogliere informazioni molto importanti su uragani come Laura e Marco, grazie anche all’ausilio di un ulteriore dispositivo di questo genere, chiamato TEMPEST-D.

I due oggetti, complementari tra loro, hanno raccolto informazioni differenti che hanno permesso agli scienziati di creare modelli 3D di ciò che stava accadendo all’interno degli uragani.

Per gli scienziati questo apre uno scenario completamente diverso da quello che abbiamo vissuto fino ad oggi, perché l’osservazione dei fenomeni meteorologici viene fatta utilizzando satelliti con orbita bassa, che possono incrociare lo stesso evento una o due volte al giorno.

Una rete di satelliti come RainCube, chiamati CubeSat, potrebbe invece garantire l’osservazione di questi fenomeni con una frequenza elevatissima e quindi con informazioni estremamente più precise.

Costruire un’intera rete di satelliti di misura standard per avere un’intensità simile di osservazione costerebbe centinaia di milioni di dollari e non sarebbe un’attività sostenibile.

Per fare una comparazione, l’intera rete di satelliti nella scatola costerebbe circa 10 milioni di dollari.

Questi oggetti utilizzano una tecnologia molto sofisticata, che funziona un po’ come un origami; questo permette di modifica la dimensione dei satelliti una volta lanciati.

Incredibilmente, per realizzare questo progetto, dal momento dell’ideazione fino al lancio del primo prototipo sono passati solamente tre anni.

La vigilia di Natale il satellite ha esaurito la sua autonomia e precipitando verso la terra è bruciato nell’atmosfera, ma la bontà dei risultati ha fornito la prova che questa tecnologia potrebbe essere il futuro della meteorologia.

Luca Viscardi: Radio Anchor, Blogger, Tech Enthusiast. Ogni weekend su RTL 102.5. In versione podcast con Mister Gadget Daily. Papà di Andrea.
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