Dopo che la Cina ha recentemente dichiarato di muoversi verso un divieto delle transazioni e del mining, adesso anche il Governo iraniano prende la stessa decisione e blocca per quattro mesi l’estrazione di criptovalute.
Alla base della decisione del Governo iraniano ci sono però motivazioni diverse da quelle che hanno portato la Cina a disporre il divieto.
Infatti, mentre il Governo di Pechino è contrario all’uso delle criptovalute perché ritiene che siano strumenti speculativi altamente volatili, Theran è arrivato a disporre il blocco del mining per l’impatto energetico determinato da queste attività.
Negli ultimi mesi, infatti, l’Iran ha visto molteplici blackout diffusi a causa di un consumo energetico particolarmente elevato, dovuto dalla siccità e dalle alte temperature.
Con il mining di criptovalute, trattandosi di un’attività ad alto consumo di elettricità, la situazione diventerebbe ancora più drastica e il Governo iraniano vuole ridurre qualsiasi ulteriore elemento capace di incidere negativamente sull’erogazione di elettricità.
Dal 2019 l’Iran riconosce la legittimità di questa attività, ma i miner devono registrarsi presso gli enti governativi, pagare tariffe elettriche più elevate e vendere le criptovalute minate alla Banca Centrale.
Il problema, però, è che i miner non rispettano l’obbligo di registrazione e questo ha un impatto molto più rilevante.
Il mining illecito, infatti, rappresenta l’85% della complessiva attività di mining che si svolge in Iran, e richiede un consumo energetico giornaliero di 2.000MW.
Quindi, anche se gli aumentati rischi di blackout sono da ricondurre a questa parte di utenti, il blocco del mining riguarderà tutti indistintamente, anche chi poteva farlo lecitamente.
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